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Astral Weeks

van morrison - astral weeks
Considerato che in effetti credo di aver bisogno di un pò di ulteriore esercizio linguistico, ho un simpatico test di proficiency da preparare, credo che proverò a rinforzare la mia difficoltà con i saggi o in generale scrittura generalmente argomentata qui. Sta sera sono in umore da Van Morrison. Astral Weeks is a beautiful record I’ve know for a while now, and bumped into again a few days ago in the shape of the cheapest cd ever. It’s always a huge thrill for me to purchase an original album, I go back to being a child handling a very small yet precious gift that I would hardly expect to hold. It’s hard to describe the impact the music has on me, or the lyrics, but I think it’s perfectly suiting a period of life we most probably have experienced at some point. It’s the tunes, the guitar chords or the violins and those two words: Astral Weeks. It could be any year, every place, anyone, it’s perfectly ageless.

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The Aviator

Ebbene sì, è proprio il film di Scorsese. Quando uscì nel 2004 non lo degnai troppo di nota, in parte perchè era troppo famoso e quando un film è troppo chiaccherato finisce che invece di godermelo mi trovo davanti a una grande delusione. Poi qualche mese fa Rai Movie l’ha trasmesso e mi son detta: Perchè no? E beh, inutile dire che mi è andata più che bene. Non immaginavo fosse così lungo, dura 160 minuti, ma più le scene si susseguivano la storia di Howard Hughes diventava sempre più appassionante e non ho potuto che restare incollata con gli occhi allo schermo. In effetti non sapevo fosse un film biografico e neppure sapevo di Hughes e la sua vita. Di Caprio ha fatto un egregio lavoro nell’interpretare questo personaggio, soprattutto nelle parti più cruciali e drammatiche in cui la malattia si impossessa di lui fino a un passo dalla pazzia. La sua performance è stata veramente impeccabile e coinvolgente, se qualcuno è ancora annoiato dal biondino Jack Dawson, direi che con The Aviator si cancella ogni sentimento negativo. Cate Blanchett è come sempre magnifica e decisamente un’ottima incarnazione della mitica Katherine Hepburn.

Il lavoro fatto sull’impatto dell’immagine e la cura nelle riprese testimoniano la sapiente mano del regista che riesce a creare attraverso oggetti e situazioni metafore estremamente significative del mondo interiore di Hughes. Memorabile è in questo senso la scena delle lampade flash che scoppiano davanti ad Howard in modo ossessivo, mentre il disagio di lui aumenta progressivamente. Ricercati anche i punti di vista, spesso inusuali che uniti alla fotografia del film fanno ricordare lo stile di Orson Welles.

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Jane Eyre

Premetto che non ho mai letto il libro ( e che credo che ‘sto giro andrò in biblioteca a prenderlo), ma ho visto soltanto il film. Un bellissimo, meraviglioso film realizzato lo scorso anno con Mia Wasikowska e Michael Fassbender, diretto da Cary Fukunaga. Arrivati alla fine è come vedere un lampo, la storia corre così veloce verso la sua conclusione, e con tale delicatezza  e intensità che sembra terminare troppo presto. Il paesaggio del Derbyshire, un posto che spero di vedere al più presto, con le sue luci e la brughiera infinita sembra uscire intatto come nei romanzi delle Bronte. Anni fa lessi Cime Tempestose di Emily Bronte e  ricordo come la brughiera dello Yorkshire fosse spesso descritta in modo dettagliato, come un’immagine fotografica perfetta. Jane Eyre è stato girato nel Derbyshire, come detto prima, stessa incantata regione in cui Joe Wright diresse il suo Pride and Prejudice. E guardare questo paesaggio oggi, mentre ci accompagna silenzioso e ingombrante è come leggere Cime Tempestose sullo schermo.

Sono rimasta sorpresa da questa eroina ottocentesca, perchè non è affatto ottocentesca, solo il tempo in cui vive è tristemente tale. A differenza di Catherine Earnshaw donna indomita e testarda, orgogliosa  e tempestosa (nomen omen), impegnata a combattere in fondo contro se stessa più che con la sua epoca, Jane pare essere la vittima di uno strano viaggio nel tempo. Ella è nè più ne meno che una donna contemporanea, del nostro tempo: intelligente, forte, ribelle e soprattutto libera nell’animo, schiava di nessuno, neppure quando le regole del costume la vorrebbero sottomessa e docile. All’interno del contesto sociale dell’Inghilterra vittoriana la sua persona diventa una creatura aliena, come in fondo ci dice la stessa Charlotte: unearthly creature. E non credo ci sarebbero parole più efficaci per descriverla. Ogni azione di Jane, ogni dialogo pare essere una sfida ai cliché e alle consuetudini, allo sciocco moralismo che da sempre ha reso alle donne la vita molto difficile, poco importa se povere o ricche. Il coraggio della Bronte va oltre ancora, poichè mostra come il conformismo e il conservatorismo cieco non solo sono una tremenda trappola per le donne, ma anche per gli uomini. Rochester è di fatto vittima di un matrimonio combinato. E così mentre Jane fatica a fidarsi di lui, all’oscuro della moglie schizofrenica(?) di lui, ma ben conscia dei rischi che corre a lasciarsi andare ai suoi genuini sentimenti per Rochester, egli stesso si trova incatenato a una vita che non desidera e impossibilitato a redimersi, mentre il suo animo indomito sfida qualsiasi legge sociale amando e desiderando l’amore di Jane, di posizione molto inferiore a lui.

Non meno importante è la conclusione di questa storia, perchè nonostante i perigli e i grossi ostacoli Jane e Rochester possono stare insieme. Ma se ciò avviene non è per una concessione dell’autrice in vena di melassa. Se Jane riesce a prendere in mano la propria vita definitivamente e lasciarsi alle spalle la miseria di un’esistenza mediocre è perchè resta sempre fedele a se stessa. Non importano quante siano le difficoltà o quante risposte affilate dovrà dare, Jane coraggiosa resta sempre onesta e vera al suo animo.

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Hugo Cabret

Hugo Cabret locandina

Come si potrà facilmente intuire dal titolo del post, sto per accingermi a raccontarvi dell’ultimo film di Scorsese. Prima di cominciare, qualsiasi cosa potrò dire, vi prego andate a vederlo. Perchè questo film è IL film e quando vedrete capirete cosa intendo. A dispetto della locandina e a dispetto di quanto possa essere stato detto da altri, questa pellicola non racconta una storia per bambini, ma una storia che val la pena di essere vista, assorbita, navigata, ascoltata e gustata da tutti, soprattutto se si ama il cinema.

Conclusa questa spassionata dichiarazione d’amore, probabilmente ne comincerò qui di seguito un’altra, piena di spoilers, quindi lettori se ci siete chiudete la pagina e tornate dopo aver visto il film.

Avendo studiato un po’ di storia del cinema dalle origini (incluse lanterne magiche, zootropi, tableaux vivants) Hugo Cabret ha rappresentato per me il boccone più gustoso di un sontuoso banchetto. Perchè sì, Hugo Cabret è uno splendido, magico e incantevole film sul cinema, sui sogni a cui esso da vita. Hugo, il bambino protagonista è in realtà l’incarnazione di noi tutti cinefili, noi ancora bambini sognatori anche se l’età dice diversamente. E come tali come potremmo non restare con gli occhi sgranati e pieni di meraviglia davanti al genio di Georges Méliès, tra i padri fondatori del cinema con tutte le sue fantasmagoriche illusioni (in senso positivo). Martin Scorsese riesce a confezionare un film avventuroso, misterioso e luminoso al contempo. La storia è ambientata nella Parigi post WWI, presumibilmente alla fine degli anni 20. Ma la città è poco visibile, escluse alcune scene panoramiche mozzafiato, quel che interessa è il fermento parigino che si trasforma in una fucina di ingranaggi, di macchine, di orologi, metafore della mente e della fantasia. Partecipi della triste storia del giovane Hugo, siamo trasportati indietro nel tempo e posti di fronte a un mistero che schiuderà a un mondo completamente inaspettato e oltre ogni previsione. Per quanto io non ami affatto il 3D, questo forse è l’unico film che valga davvero la pena di essere visto a quel modo. La conclusione della narrazione viene scandita attraverso le opere di Méliès stesso, incluso il celebre Le voyage dans la lune che visto (finalmente) in buona qualità e persino animato in tre dimensioni è da non perdere per nulla al mondo.

E con questo chiudo la mia seconda spassionata dichiarazione d’amore verso sceneggiatura, recitazione, ambientazione, e cinematografia di questo lungometraggio (si insomma anche se non ho citato uno per uno questi aspetti va da sè che funzionino tutti in modo eccellente).

PS. altro spoiler per cinefili. Scorsese ha messo in scena il famoso episodio sulla proiezione di L’Arrivée d’un train à La Ciotat dei fratelli Lumière, in cui gli spettatori si alzano spaventati pensando di venire investiti dal treno (e se non è una chicca questa..).

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In Time

In time locandina

Ladies and gentlemen, buon lunedì. Ebbene, sono stata decisamente assente negli ultimi due mesi, ma la vita reale mi ha chiamata all’appello e ho dovuto sospendere i miei alti propositi di scrittura cibernetica. Oggi ho finalmente un po’ di tregua dagli impegni e quindi eccomi a introdurre l’argomento di questo post: In Time. Si tratta di un film di produzione americana diretto da Andrew Niccol e che è uscito nelle nostre sale in questi giorni. Andrew Niccol per capirci è il regista di Gattaca e Lord Of War. Io da parte mia ho visto solo il secondo, ma mi propongo di vedere Gattaca dato che sono almeno un paio d’anni che mi viene consigliato di vederlo, tanto più che pare avere alcuni punti in comune con In Time. La storia infatti è ambientata in un ipotetico futuro non troppo lontano, dove il mondo è diviso in Time Zones, ghetti per ricchi e ghetti per poveri che giocano letteralmente a rubarsi il tempo l’uno con l’altro. Questo è indubbiamente il punto più interessante di tutto il film: nonostante sia un thriller/action movie impastato di science fiction, questo universo creato da Niccol non è popolato da automobili e macchine futuristiche in grado di fare le cose più sorprendenti, bensì è uno spazio allegorico in cui i soldi non esistono più, è solo il tempo la merce di scambio e coincide con la vita stessa delle persone. Il film si propone come una parabola sul capitalismo estremo che porta la società a guadagnare, vivere basandosi sulle morti di altre persone, rubando loro il tempo e la vita. Come in fondo succede anche nel presente, forse solo in modo meno plateale (per certi versi).

Purtroppo per noi benchè il pressuposto che sta alla base di tutta la trama sia indubbiamente coinvolgente, il film soffre molto per diversi aspetti. Innanzitutto la sceneggiatura: sia per accattivarsi il pubblico o per cercare di essere più comprensibile, la storia viene sviluppata tramite le azioni di Will Solas, giovane del ghetto povero, che per una combinazione di eventi scopre la smodata speculazione di tempo ad opera degli abitanti di New Greenwich, il settore ricco. Nella sua lotta contro queste sanguisughe senza scrupoli, Will finirà per trovare in Sylvia Weis, figlia del grande magnate di New Greenwich, una ottima alleata disposta a lasciare la sua gabbia dorata per diventare la partner perfetta di un moderno Robin Hood. E qui qualcosa dovrebbe già farvi accendere una lampadina. Arrivati a questo punto il film cede in modo mortale, nonostante la suspance (neanche tanta) data dalla fuga dei nostri inseguiti dai poliziotti Timekeepers, veniamo più di una volta tediati dalla scontatezza del loro rapporto: poor boy meets sexy rich girl, they fall in love. Per quanto possano essere interessanti le cosce della protagonista e tenere le loro effusioni di coppia, onestamente se ne poteva fare a meno. La caratterizzazione dei personaggi stessi è piuttosto scontata: Sylvia è una figlia di papà assetata di avventure, e stanca delle noiose feste dell’alta società. Rappresenta il tipo di eroina con i capelli sempre in piega e che corre chilometri sui tacchi 8 a spillo con plateau senza stancarsi, nonchè tiratrice quasi perfetta al primo uso di pistola (il rinculo al solito è per gli sfigati).Will è il coraggioso ragazzo onesto, pieno di buoni sentimenti, ma che non esita a sparare (solo ai cattivi non sia mai!) per salvarsi la vita. Ha un passato travagliato, il padre è un fighter e muore quando il figlio è ancora un bambino e la madre gli si spegne di povertà tra le braccia. I dialoghi sono piuttosto prevedibili e molto stereotipati. I tentativi di humor sono altrettanto fallimentari, il più delle volte sembrano solo le uscite di un poser. Ultima nota va al cast: Justin Timberlake, Amanda Seyfried e Cillian Murphy interpretano rispettivamente Will, Sylvia e il Timekeeper. Ora senza voler avere dei pregiudizi contro Justin Timberlake, mi duole dire che la sua recitazione è un tantino penosa. Murphy come al solito non delude e Amanda se la cava abbastanza bene, nonostante il personaggio, ma our ghetto boy a mio parere non solo non ha il cosiddetto physique du rôle, ma quand’anche, manca decisamente di espressività.

Non volendo essere troppo crudele, penso sia necessario dire che In Time con tutti i suoi difetti è comunque un film godibile, buono per quelle sere che non avete niente da vedere e avete voglia di un po’ di science fiction senza robottoni.

PS. per i fissati di cinematografia: l’ambientazione non è malvagia e la fotografia è nella media…senza gloria e senza infamia.

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Sit Down, Please

Tutti quanti voi sicuramente almeno una volta avrete fatto un salto all’ikea e avrete addocchiato quel divano, tavolo, libreria o sedia che pare perfetto per casa vostra. E scommetto che non avrete neppure resistito a provare alcune di quelle poltroncine così comode! Senza contare come tutto pare incredibilmente nuovo, innovativo e fresco, frutto della contemporaneità. In verità se il design ikea è così efficace è perchè si fa erede delle esperienze e del lavoro svolto da grandi progettisti che con impegno, genialità e dedizione si sono dedicati a risolvere i piccoli grandi problemi di ogni giorno. Prendete la poltrona Poang per esempio. Ergonomica, linea pulita, essenziale ed elegante.

sedia ikea poang

Facciamo ora un salto nel tempo: Finlandia primi anni 30, città di Paimio. L’architetto Alvar Aalto, talentuoso e capace esponente della corrente Modernista scandinava è alle prese con la progettazione del sanatorio per i pazienti malati di tubercolosi. E se bisogna costruire un edificio di così grande importanza sociale è bene considerarne ogni più piccolo dettaglio, esterno ed interno. E’ così che grazie agli studi fatti sulla curvatura del legno arriva a progettare delle sedie, le sedie Paimio, studiate per essere comode e composte da meno pezzi possibile. Era il 1932.

sedia n 32

E nel frattempo in Scandinavia…un signore di nome Peter Opsivik crea per la ditta Stokke delle poltrone altamente ergonomiche. La ditta norvegese si è specializzata nella produzione di sedute anatomiche, spingendo le ricerche più a fondo possibile sulla relazione tra il corpo e l’oggetto, in modo da contrastare il tipico indolenzimento che si prova stando seduti. Il risultato è la poltrona Gravity, strutturata secondo un principio di molleggi e movimenti e dal design assolutamente sorprendente. Era sempre il 1932.

Tornando ai giorni nostri, osservando Poang risulta chiaro come il suo design richiama quello accuratamente studiato e ideato dai grandi designers del passato, il cui lavoro influenza al presente i nuovi progettisti, e anche noi che ne siamo i destinatari

E sprofondata nel mio comodo divano, vi auguro una buona vigilia di Capodanno! A presto

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OOh Fashion

La moda, questo universo infinitamente chiaccherato. Ne veniamo bombardati tutto il tempo, in modo intelligente e troppo spesso in modo petulante e irritante. Avere la fissazione per la moda è una specie di etichetta che designa certi terribili stereotipi di donna, quel tipo di donna che probabilmente dovrebbero essere le modelle una volta scese dalle passerelle e persa l’allure di creature di un altro mondo. La moda è al contempo un sogno, un incubo, un mercato tartassante, un modello di esteriorità pedante e poi, ciò che è più importante, è una forma di espressione elevata al quadrato. Un argomento di indagine terribilmente interessante è la storia del costume, la storia della moda con tutti i suoi cambiamenti nel corso del tempo. Nei suoi momenti più alti, quando si è unita a un certo ideale di rottura con i tempi (vedere Chanel per esempio) credo abbia raggiunto definitivamente lo status di pienezza di contenuti espressivi. E’ la straordinaria potenza comunicativa dell’abito, doppia perchè esprime chi lo crea e anche chi lo indosserà. Anzi le sue potenzialità saranno sempre differenti a seconda del fruitore. Questo credo sia l’aspetto che mi piace di più della moda, la sua capacità nel permetterci di creare noi stessi sempre in modi nuovi (se siamo attenti a restare fedeli a ciò che ci affascina genuinamente). Una mia amica mi ha saggiamente detto proprio questo: “le donne quando si danno ai vestiti è come se sfogassero il loro bisogno di creazione, ricreando se stesse ogni volta”. Interpretare un vestito, creare noi stessi, in un certo senso è quasi come fare gli attori, poter scegliere chi essere e come essere senza costrizioni (almeno per un momento). Non è un caso che il binomio cinema moda sia tra i più saldi ed eserciti un gran fascino su tutti noi; si tratti di film sulla moda o pellicole in cui viene usata più come armoniosa parte del tutto.

E dopo questa “intelligentissima” riflessione (se se in realtà direte voi, tanti paroloni per giustificare la mia fissa per i vestiti!), per essere un po’ più frivole, allego un paio di foto di abiti che accidenti…li beccassi li piglierei al volo (la passione per gli anni 40 -50 è inevitabile!)

Mango w 11

Mango w 11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le mie due proposte preferite di Mango…per portabilità e tessuti. In effetti con un abitone fino ai piedi satinoso, dove vado?! E ora di seguito, il mio tarlo: Naf Naf. Il brand è francese, l’ho (ri)scoperto quest’estate e devo dire che ha dei modelli che mi piacciono mooolto. Uno dei miei chiodi fissi riguarda gli abiti neri, non c’è volta che non ne venga attratta quando che entro in un negozio. Nella mia mente nero=chic è scolpito indelebilmente, per cui è un bel po’ (diciamo almeno un anno) che cerco un bell’abito nero, di quelli sobri ma non sciatti, eleganti ma non troppo “importanti”. E così ecco che di recente mi imbatto nelle belle proposte di Naf Naf. Non sapete che seccatura rendersi conto che praticamente lo stand è solo dentro Coin e di conseguenza quello che piace a me non c’è. Questa ricerca sta diventando una quest: LA QUEST DELL’ABITO NERO (da videogame direi!). E con la mia wishlist finale concludo il post di oggi. A presto!

Ps: il titolo del post “Ooh Fashion” è preso da un brano di David Bowie…ogni volta che dico quella parola nella testa, mi viene in mente la sua canzone!

naf naf w 11

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Ladies and Gentlemen…

Salve a voi! Premetto ai qui presenti (futuri) lettori che non sono una blogger costante, ciò in cui sono piuttosto costante è l’avere un sacco di note mentali su cose diversissime e non avere mai il tempo per esprimerle tutte. Questo spazio sarà quindi il mio personale scatolone magico da riempire di note e appunti su tutto ciò che vedo e attira la mia attenzione. Per dare un assaggino premetto che parlerò molto di espressioni della creatività (dire arte sarebbe problematico) nel senso più ampio del termine: fotografia, pittura, illustrazione, moda, cinema ecc. Ma probabilmente ci scapperà anche dell’altro. Non mi resta quindi che darmi da fare.

A presto allora!

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